Biografia
Perché un antropologo non può non interrogarsi sulla biodiversità in quanto etica professionale e deontologia, in quanto strenuo assertore del relativismo culturale e della pluralità.
Nello specifico il mio interesse per il cibo come fatto sociale totale e per i piccoli produttori del settore agroalimentare è una questione emozionale, nata negli anni trascorsi in Cilento. Nasce da un caciocavallo fatto con le mie mani, dalla scoperta di come si aprono i fagioli e di che cosa sono i taddi; nasce dalla raccolta dell’uva, delle olive e delle patate; nasce dal primo giorno in cui ho indossato una tuta gialla e mi sono avvicinata alle api, da tutti i piselli che ho tolto dal loro baccello e dai fiori di zafferano. A questo piccolo paese dell'entroterra cilentano, Caselle in Pittari, luogo scelto per la mia tesi di laurea, devo tutto quello che ho imparato sul mondo dell’agricoltura e dell’alimentazione, conoscenze che mi hanno portato anche ad insegnare nelle scuole del Cilento con il Centro Studi della Dieta Mediterranea.
Ben forgiata da questa esperienza sono tornata a vivere a Milano e ho iniziato la mia attività di scrittura con il libro Cento Volte Mezzogiorno, pubblicato in dieci puntate su Vanity Fair.
Il mio lavoro consiste principalmente in quattro parti.
La prima è la ricerca antropologica che continuo a svolgere in alcune aree meno note di un’Italia più sommessa, quali Cilento, Valli Bergamasche, Lunigiana, Valle Arroscia, Basilicata, Valle d’Aosta, Aspromonte, Val Curone, Montelfeltro, Collio.
La seconda è la scrittura di temi legati al cibo da un punto di vista culturale, sia in libri come La Fenomenologia della Polpetta, Il Fagiolo di Mandia, Pasta il primo piatto, Management della ristorazione; che in articoli per La Cucina Italiana, Il Giornale del Cibo, Scatti di Gusto, 1820 Magazine, Le Guide Espresso, Spirito Divino, Vanity Fair, Agrodolce, Food Confidential.
La terza è l’insegnamento di Antropologia culturale e del cibo presso la Food Genius Academy di Milano e di Educazione al gusto alla Fondazione Ikaros di Grumello del Monte, in provincia di Bergamo.
La quarta, infine, è l’attività di consulenza nella ristorazione, che mi porta sempre a cercare ciò che può differenziare rispetto agli altri, anche perché in fondo tutti abbiamo bisogno di distinguerci e di essere distinti.
In generale cerco di recuperare la singolarità dei casi concreti e delle storie individuali, attraverso i racconti autobiografici delle persone e dei loro vissuti quotidiani. Infatti un antropologo non raggiunge mai un’oggettività in quello che scrive, sia per la natura stessa della disciplina, sia per l’influenza dei soggetti, anche se queste alterazioni fanno parte della veridicità ricercata dall’antropologia stessa.
Dunque il mio lavoro finisce per essere un movimento continuo e perpetuo verso l’altro, uno spazio da percorrere in cui ci si può perdere oppure fermare e prendersi il tempo per capire che cosa sono queste mete raggiunte e questi luoghi scoperti agli occhi di chi li vive tutti i giorni. E così l’antropologia diventa magia e ogni racconto assume l’aspetto di un percorso unico.