Marilena Lualdi
Giornalista, blogger, scrittrice
Biografia
I primi passi in un vigneto risalgono a quando aveva tre anni. Allora Marilena Lualdi si addentrava nei misteri della natura, grazie a un parroco piemontese che voleva prendersi cura del creato anche con il vino.
Oggi è giornalista, blogger, scrittrice. Segni particolari, curiosa delle creature e della vita e devota al rock. Collabora a “Identità Golose”, si occupa di economia a “La Provincia di Como” e parla di natura, viaggi e musica nel suo blog neicassettidimalu.blogspot.it. Ha pubblicato il primo libro (scritto con il padre, Antonio) nel 2009, “Quando il Nonno prese per il naso il Re”, nel 2017 è risultata tra i dieci finalisti del premio Mursia con “Chi ha bisogno di Willy (un romanzo che si nutre del rapporto tra esseri umani e animali) ed è appena uscita la sua opera “L’aria di Chiara” (edito da Nomos, come avvenne per la prima pubblicazione) la storia di una bimba che in poco più di due mesi ha cambiato la vita a tanti. Nel nome delle radici, ha fondato con altri amici l’associazione “B300” che cerca di raccontare con diversi linguaggi le tradizioni della sua città – Busto Arsizio – ma non solo.
SOSTENIBILI QUESTI UMANI
Enjoy Collio Experience: sono in viaggio tra Udine e Gorizia...
Enjoy Collio Experience: sono in viaggio tra Udine e
Gorizia, mentre ripeto dentro di me questo, che non è
uno slogan. Sento, piuttosto, che si tratta di una
promessa.
Un’esperienza, è ciò che ti cambia, o meglio che aiuta a
cambiarti: perché poi sta a noi, irrimediabilmente,
concedere il potere di lasciarsi cambiare.
QUESTIONE DI METODO
Sono in Friuli Venezia Giulia, sfiorato moltissimi anni
prima. Lasciati i bagagli al Castello di Spessa, che
esplorerò poi, mi rimetto in viaggio con gli altri due
moschettieri Marco e Giulia, nonché con il D’Artagnan
che mi apre lo sguardo su questi posti, Klementina.
Dovrò scrivere un articolo sul vino di questi produttori
per Identità Golose, ma intanto affronterò una
riflessione sulla sostenibilità che qui viene offerta,
condivisa.
Non è un caso che io approdi subito da Venica e presto
vorrei spiegare perché. Prima, vorrei fare una
dichiarazione metodologica, se non di intenti. Che cos’è
la sostenibilità per me? Fino a qualche tempo fa, era
come rendere più sopportabile o meno pesante la nostra
presenza di custodi che si sono montati la testa fino a
considerarsi padroni, sulla Terra. Da giornalista, ma
soprattutto filosofa, ho pensato a come mettermi in
discussione, perché il cambiamento parte da noi.
Un passaggio decisivo è il linguaggio. Non posso
affermare: questa specie è a rischio di estinzione.
Piuttosto: stiamo uccidendo questa specie. Questo,
perché è nostra responsabilità salvarla, come averla
portata fin sul baratro.
Il linguaggio chiarisce le idee e rende più facile mutare.
Voglio sforzarmi di metterlo in pratica in questo viaggio
e chiedo di aiutarmi a farlo.
Giugno si è appena aperto, siamo a sabato 2 per la
precisione. E io raggiungo il gruppo da Venica appunto,
a Dolegna del Collio. Qui, oltre a degustare il primo vino
che mi svela questa terra, sento parlare di sostenibilità,
in un modo che mi afferra alla gola dell’anima.
Sì, perché è un linguaggio moderno, che passa dalle
espressione entusiastiche di Ornella come da un Qr
Code tutt’altro che freddo. Questa imprenditrice
racconta la storia di famiglia e un impegno solenne:
quello di stendere un bilancio della sostenibilità.
Ciò che mi colpisce del Collio – lo ritroverò anche nei
giovani viticoltori – è che questo tema sta a cuore
moltissimo, prima ancora che venga burocraticamente
messo a fuoco. Insomma, le certificazioni possono
attendere, in più di un caso: prima bisogna voler
cambiare, che poi è ritrovarsi, tornare cioè più vicino
alle proprie radici.
UMANI PRIMA DI TUTTO
Da Venica lo comprendo, attraverso anche la cantina. Poco prima, Carola Nitsch ci ha anticipato che vivremo qualcosa di straordinario. Ogni generazione verrà narrata attraverso una porta: l’ultima, con qualche velatura in più perché le sia offerta l’opportunità di scegliere, fino all’ultimo, se dedicarsi completamente a questo compito meraviglioso e difficile.
Capisco meglio ciò che avevo intuito qualche giorno prima sul lago di Como, quando un passerotto insistente si era posato sui nostri bicchieri di perenni viaggiatori. Mi ero chiesta allora, da lui sollecitata: ma il mio stile di vita è sostenibile? Nel senso: sto usando (parola che mi sta un po’ antipatica, allora optiamo per “adoperando”) le mie risorse in maniera umana e naturale?
UMANO E NATURALE
Ecco, adesso penso che umana e naturale debbano incontrarsi, perché l’uomo è l’ambiente. Vi medito, allontanandomi da Venica e continuando la mia immersione nel Collio. Vivo la tappa a Gorizia, accogliendola come quieta e irresistibile per questo. La mostra sulla principessa Sissi è un primo pegno: un’anima viaggiatrice anch’essa, inquieta, ribelle eppure in un certo senso addomesticata a ciò che le consegnava un senso.
Quindi saliamo verso il castello. Uno dei momenti più rivelatori è alternare lo sguardo sui due lati del confine, tra Italia e Slovenia. Poco dopo, alla degustazione del consorzio Collio, scandita dallo showcooking, sarà l’assessore alla Cultura Fabrizio Oreti a svelarmi un altro tassello: meglio parlare di frontiera. Perché il confine divide, la frontiera unisce, fa incontrare.
Questa sera, mentre scopro gusti e storie di aziende vinicole, assaporo proprio un incontro: quello tra culture, provenienze, desideri, obiettivi.
Sostenibili questi uomini e donne: me lo sussurra il primo tuffo nella Collio Experience.
Marilena Lualdi
UNA PASSEGGIATA SOSTENIBILE
La notte si allontana lentamente....
La notte si allontana lentamente dalla musica del Castello di Gorizia, sulla scia delle note dei vini del Collio. Si lascia alle spalle anche l’eco dei passi per le vie, si tuffa nelle strade e viene a stendersi qui, al Castello di Spessa.
RESPIRARE LA PACE
Dopo una giornata di incontri e magie sul Collio, gli umani sembrano procedere a colpo sicuro verso il riposo. Ci si arrampica sulla collina in direzione del casale e per un attimo ci si dirige automaticamente alle camere, carichi di quella stanchezza buona che porta aver iniziato l’esplorazione di un territorio talmente ricco di suggestioni.
Ad un tratto, ci si rende conto che non è possibile. Bisogna voltare le spalle al casale e respirare questa pace. Non è solo l’aria fresca che placa un giugno già così autorevole, ma è questo senso di armonia che si palesa catturando più sensi.
Due in particolare. La vista conosce il buio vero, quello buono, che ci spoglia della necessità di frugare dentro tutto e ci permette di riposare veramente l’anima. Poco si muove in questa cortina scura, non ostile, e quindi possiamo restare immobili a mettere a fuoco ciò che conta veramente vedere: una piccola luce in fondo al paesaggio, è specchio di noi creature umane, arrivate fin quassù per una volta non per dominare, ma per mormorare un ringraziamento di essere parte di tanta bellezza.
Ma è anche l’udito a lasciarsi contagiare dalla riconoscenza. Il silenzio è messo alla prova soltanto dalle cicale o da un latrare lontano.
Sì, questo è già riposo. Dal vociare che ci insegue dalle nostre città, dalle parole di troppo e dai pensieri che si insinuano a fatica in mezzo ad esse. Dalle luci che ci tempestano nelle metropoli e a volte anche nei paesi, come se puntare fare su tutto ci proteggesse totalmente.
Eppure è qui, tra le colline dipinte di oscurità e mormorii, che mi sento veramente al sicuro, forse perché - prima ancora – mi sento parte di questo grande affresco. Minuscola e fragile, senza nemici.
Poche ore e l’alba corre avanti, come se fosse ansiosa di mostrarci altri tesori, come se temesse che altrimenti ci perdiamo qualcosa di unico.
IL VIZIO BUONO DELL’ALBA
Da un po’ ho il vizio dell’alba, così come prima ero schiava del fascino del tramonto. Devo ringraziare un’altra creatura per questo cambiamento di tendenza: il mio gatto.
Prima mi svegliavo con la tela della giornata già preparata, adesso è come se mi porgessero un pastello e mi dicessero: dai, contribuisci anche tu, anche se sei un’artista maldestra.
Certo, non tutte le albe sono uguali. Qui al Castello di Spessa, esco ancora un po’ titubante, da cittadina che non vuole rinnegare tutte le sue abitudini, per quanto deleterie e deludenti alla lunga possano essere.
Scendo e risalgo, nel silenzio che il sole non vuole ancora incendiare. Pochi versi di animali intorno, se non gli uccellini che si radunano tra le fronde degli alberi.
Tuttavia, non li ho ancora ascoltati, davvero. Devo arrivare fino al Castello e sedermi nella parte posteriore, sulle panche.
Immobile, come le statue che si posano tra le mura e i primi raggi, riesco a non dare nell’occhio o così mi illudo: la mia presenza si fa sostenibile, non invasiva, ma nemmeno indifferente. Così attorno a me riprendono a volteggiare con crescente decisione gli uccelli di diverse specie, chi ha da sussurrare, chi invece ostenta le idee chiare e strilla già di primo mattino.
PROVARE A VOLARE
Volare sembra un movimento così facile, per chi non può provarci: ma quando i volatili si fanno più vicini, si può ascoltare con precisione il rumore legato allo sforzo di fendere l’aria. Qualcosa che toglie il fiato e che svela come ogni creatura stia facendo di tutto, per vivere.
Quest’aria, che ormai è smossa e sprigiona ogni profumo e riflesso. Anche in questo caso, un’esperienza preziosa, con ogni gesto umano ancora assopito: non c’è per adesso alcuna traccia che ci faccia percepire il nostro passaggio o così pare. Non un’auto che si sia messa in moto o anche solo l’aroma buono del caffè.
Più tardi ci penso, nella cucina del Conte Ludovico, un ambiente che ci vede tutti radunati e anche per questo ci fa sentire a casa. Improvvisamente, tutti dobbiamo salutarci, che ci conosciamo o no, e ci mettiamo a parlare con la naturalezza che hanno le creature là fuori.
Lo ritroverò nel corso della giornata, questo sentimento di solidarietà – così mi viene da definirlo – che scaturisce da una bellezza rispettosa, camminando tra i vigneti e poi nel picnic che ci offre il contatto tra la bontà dei vini del Consorzio del Collio e la morbidezza di questa natura.
Intanto mi godo la passeggiata di Casanova, con tutto ciò che sa evocare. Nella mia mente, lo accostavo alla frenesia, alla voracità; al cospetto di tutto ciò, non ho più certezze e mi avvicino alle sue affermazioni, che scandiscono il percorso tracciato.
Mi colpisce proprio un frammento di frase, come una delle briciole che gli uccellini là fuori accolgono con gioia incredula. In questa pagina, Casanova racconta di quanto abbia amato e cercato di farsi amare; dà anche una definizione di quel quanto.
“Per quanto possibile”.
Mi sembra una bellissima dichiarazione di sostenibilità. Dare e prendere, per quanto possibile, non una briciola di più, magari non una di meno. Godere della vita e di ciò che ci fa incontrare sulle sue colline, senza sfiancarla e senza snobbarla.
Questo mi accompagna, come un viandante che ne affianca un altro, senza bisogno di presentazioni, durante una passeggiata nel Collio.
Marilena Lualdi